IX

Da quanto sono venuto dicendo risulta soprattutto che il compito essenziale del critico storiografo, di cui si è parlato, consiste nel far convergere tutti i risultati del suo lavoro in un giudizio storico-critico che accerti e spieghi la consistenza, la realtà e i modi particolari della realizzazione artistica attraverso il suo processo formativo entro la storia della personalità e nella tensione espressiva di un’epoca. E che ne consolidi il significato e valore nella storia della letteratura come storia di un’esperienza autentica e radicalmente connessa con tutta la storia della civiltà cui appartiene e nella sua perenne umanità, nella sua ricchezza problematica, nel suo orientamento commisurato con quello del nostro presente, con la nostra coscienza estetica e storica, con i nostri problemi generali e particolari: il cui concreto esercizio ci permette di sentir vivi i problemi e le realizzazioni del passato.

Giudizio storico-critico che riconduce, per via piú complessa e storica, ad un’esigenza insopprimibile di identificazione di valore e riconduce insieme ad una illuminazione, comprensione e acquisizione nuova dei risultati artistici e ad un rafforzamento della nostra tensione e collaborazione alla nascita di nuovi valori poetici, senza di che l’opera della critica e della storia letteraria rimarrebbe sostanzialmente sterile archeologia e catalogazione erudita.

Sicché la preparazione culturale, storica, tecnica, la disposizione ed esperienza del critico come storico di un’esperienza specifica e dei suoi rapporti con dimensioni storiche e culturali generali, saranno ovviamente produttive solo se funzionali alla ispirazione, alla vocazione del critico ad essere interprete e collaboratore della tensione poetica e della poesia, alla sua fresca sensibilità e reazione ai testi, alla sua disposizione al giudizio e all’accertamento dell’arte.

Qualità native ed educate nell’esercizio concreto, nella coscienza metodologica, nell’esperienza della storia della critica, ma, ripeto, inevitabilmente native nella loro prima disposizione. E se per il poeta si potrà dire che nascitur et fit (ed è su questo suo speciale fieri che si appoggia la validità degli studi di poetica, ma è sull’unità inscindibile di tutta la sentenza che se ne ovvia ogni possibile intellettualismo), anche per il critico dovrà dirsi che la sua preparazione ed esperienza presuppongono il piú deciso nascitur.

Cosí come essenziali a lui saranno la sua genuina passione per l’arte, la sua partecipazione all’affermazione del valore poetico (che egli esercita chiaramente anche nella critica della poesia del passato), il possesso di un suo orientamento nel campo della esperienza critica e del pensiero estetico. Senza con ciò farne né un artista aggiunto all’artista né un filosofo puro né uno storico ignaro della storia per cui è storico, ma postulando come necessaria una sua partecipazione alla vita dell’arte, una capacità di intenderne i caratteri generali e particolari, una disposizione a intenderne le diverse forme storiche e il suo significato storico generale e specifico.

Donde l’importanza per un critico e storico letterario di un suo esercizio nella critica dell’arte contemporanea che tanto piú rafforza la sua natura di partecipe all’affermazione dei valori poetici e la necessità della sua iniziativa e delle sue reazioni dirette alle sollecitazioni dei fenomeni artistici, mentre evidentemente rafforza l’impegno contemporaneo con cui egli rivive i problemi e i fenomeni artistici del passato.

Per non dire – tanto è evidente in tutto il mio discorso – dell’importanza fondamentale e «culturale» (come ben avvertiva il Momigliano in una discussione del 1916 sulla critica e sulla cultura del critico[1]) di una vera, autentica vita del critico come uomo, e uomo etico-politico, che gli permetta di intendere personalmente (per esperienza propria e per integrazione di fantasia bisognosa di una prima base di interesse) i problemi sentimentali, culturali, etico-politici degli autori che studia e di riconoscerne la radice umana, la loro perenne attualità e storicità.

Come si può davvero comprendere l’arte di un Machiavelli, di un Foscolo, di un Dante senza comprenderne i problemi etico-politici e culturali e, per far ciò, senza la conoscenza e l’esperienza di questi problemi? Ché, alla fine, la critica e storia letteraria hanno una loro base «operativa» (si conosce solo quel che si fa o si può fare). Sol che questa non è solo letteraria e artistica – il critico non è un artista mancato, ma uno scrittore impegnato nello stesso strumento e problema espressivo dei suoi autori –, ma anche dei problemi generali e particolari che gli scrittori vivono.

Mentre nella sua esperienza artistica il critico letterario avrà tanto maggiori possibilità quanto piú egli avrà esperienza anche delle altre arti. E come, ad esempio (senza con ciò indulgere a trasposizioni ed equivalenze livellatrici), intendere la tensione lirica, la tenuta di ritmo del Manzoni del Cinque maggio senza avere il senso del ritmo musicale, senza aver compreso, ad esempio, la grandezza di ritmo del secondo brandeburghese di Bach? o come intendere il ritmo nuovo dei poeti postsimbolisti, senza aver inteso il ritmo nuovo di Schönberg o di Alban Berg? come intendere certa letteratura impressionistica senza aver un’idea approfondita e un’esperienza dell’impressionismo pittorico? come intendere la civiltà letteraria decadente senza avere un’esperienza dei fenomeni pittorici e musicali della stessa epoca?

D’altra parte, per quel che riguarda la prospettiva e l’orientamento contemporaneo, essi non devono spengere la comprensione e il rispetto dell’alterità del passato e dei valori formatisi nel passato e trasformare la critica e storia letteraria in una pura e semplice lotta per l’affermazione di nuove poetiche. Ché, cosí facendo, si rischia poi, anche agli effetti del presente, di perdere la ricchezza di stimoli e controlli che proviene dallo studio della letteratura del passato, di vivere una dimensione isolata ed effimera e senza sfondo. Quando poi il gusto del nuovo, del moderno ad ogni costo non si trasforma in semplice accompagnamento delle mode o, peggio, si cade nel rilancio di fenomeni artistici del passato solo perché intonati alle mode presenti: atteggiamenti molto proficui per la fama contingente del critico, ma contrari alla sua piú doverosa serietà e al suo compito di storico-critico che non deve mai perder di vista le proporzioni di valore per il semplice valore del nuovo.

Né qui ci si ferma sui casi vistosi della collaborazione di critici alla diffusione editoriale, dello scadimento della critica in forme di pubblicità.

Quante amare riflessioni di costume potrebbe sollecitare la civiltà dei premi e dell’industria culturale in cui tanti critici pensano in un modo e scrivono in un altro, e in cui i difetti della civiltà industriale vengon fatti propri anche da forme di civiltà nascente, incapace spesso di imporre ancora la propria piú vera moralità, i propri criteri piú veri di sincerità, di verità, di responsabilità come radice di ogni nuova organizzazione civile e letteraria.

L’indipendenza profonda del critico (non il suo isolamento astorico e falsamente aristocratico) è motivo fondamentale della sua missione e nessuna solidarietà di partito, di chiesa, di gruppo e tendenza può mai giustificare la sua tolleranza di fronte a fatti artistici non validi e non affermabili in una prospettiva di «durata», di storia. Responsabilità, indipendenza, coraggio di verità non sono appelli moralistici scaduti, ma elementi fondamentali della validità del critico, del suo rigore intellettuale e morale.

E cosí un vero critico della letteratura contemporanea (non un cronista o un degustatore edonistico o un fazioso partigiano di chiese confessionali o politiche o letterarie) sarà inevitabilmente portato a storicizzare anche il presente, ad accertarne i valori e le linee ricche e vive di futuro, a trasformare reazioni e impressioni in giudizio storico-critico e a porre nessi e rapporti fra letteratura e cultura, fra problemi artistici e problemi del proprio tempo e del passato. E cosí sempre il gusto, la sensibilità, la reazione diretta ai testi, la simpatia o antipatia per nuove poetiche tenderà a munirsi di preparazione filologica e storica. Ché poi, alla fine, nei casi di critici autentici, anche quando appaiono piú sensibilistici e istintivi, sarà facile ritrovare, ad un esame accurato, una base culturale e storica per quanto limitata e contratta, un orientamento estetico e un riferimento a ideali e dimensioni generali.

Certo, a volte si può aver l’impressione che le esigenze strumentali cosí fortemente accresciute attualmente possano soffocare la vivacità e l’iniziativa personale del critico (mole ruit sua) e sarà sempre da diffidare delle espansioni tecnicistiche non sorrette da idee centrali. Ma di fronte a questo rischio non sarà poi il caso di smantellare perciò la difficile e tormentata costruzione della nostra preparazione metodologica e strumentale per un semplice ricorso alla spontaneità e genialità immediata del critico «puro». Sarà invece necessario meglio articolare e disporre la preparazione alle sue funzioni, alla sua destinazione in rapporto ad una interpretazione unitaria e centrale, a cui, ripeto, l’iniziativa e la vocazione critica sono primum essenziale come l’ispirazione all’operazione artistica.

Ugualmente, se si può capire la diffidenza e il sospetto, in alcuni, che la critica possa perdere il suo carattere specifico e risolversi solo in storia o storia della cultura quando se ne accentuino solo i caratteri e i compiti storici, non sarà perciò da rinunciare al fondamentale impegno storicistico quando si sia bene inteso e si sia fatto valere il carattere di mediazione che è sempre costitutivo dei fatti estetici e che tanto meglio si rivela, con possibilità di ricchezza e di duttilità concreta, nella considerazione del rapporto poetica-poesia, di studio della poetica per la comprensione, individuazione e valutazione della poesia nella sua genesi storica e nella sua realizzata consistenza.

Non si vorranno, ripeto, disconoscere i meriti e gli apporti che critici autentici han pure volta a volta rappresentato in posizioni che possono a noi apparire insufficienti e parziali sul metro della figura che qui si è proposta. E, del resto, come non capire che anche la critica ha un suo svolgimento dialettico e problematico, accentua aspetti e problemi volta a volta urgenti e preminenti nella storia della cultura e dell’arte?

Ma sarà ben lecito, proprio nella consapevolezza dell’utilità del dialogo e del confronto, identificare entro la situazione critica attuale una strada e un impegno piú centrali e complessi. Che il critico sappia e voglia adibire tecniche e conoscenze, coscienza storica e senso dell’arte alla ricostruzione e interpretazione delle personalità, delle opere delle epoche letterarie nel movimento della storia generale e della storia letteraria, che nel suo atto storico-critico siano presenti e disponibili tutti gli strumenti atti a realizzare la sua operazione e che perciò egli sia tecnico, storico e uomo vivo nella cultura, nella storia, nell’arte e interessato personalmente ai problemi dell’arte e all’affermazione dei valori poetici, sarà mèta ambiziosa e ardua, ma non perciò meno stimolante e doverosa.


1 La discussione fra il Momigliano, il Cesareo, il Pellizzari si svolse sulla «Rassegna» del 1916.